Ogni giorno infatti i media riportano un articolo, uno studio, la storia di qualche arresto… che racconta un altro lato della pandemia, quello che vede imprese e famiglie non più in grado di aspettare sostegni da parte dello Stato, che impegnano gioielli di famiglia, si indebitano più di quanto riescano a sostenere per poter affrontare il quotidiano.
“almeno un italiano su dieci (11,9%) è caduto nelle maglie degli usurai, non potendo accedere al credito bancario (era il 7,8% nel 2018 e il 10,1% nel 2019); a quanto si apprende da SOS Impresa, a fine 2017 il mercato del credito illegale ha raggiunto in Italia un giro d’affari di circa 24 miliardi di euro, coinvolgendo all’incirca 200mila imprenditori e professionisti.”
(la finanziaria 2019, pre-covid, per intenderci, valeva circa 38 miliardi di euro – nda)
Riporta il dossier “Cortocircuito, come la spirale del debito impoverisce il tessuto sociale” che il Comitato Nazionale Comunità di Accoglienza ha presentato il 25 febbraio scorso.
Non solo l’usura: sono in aumento anche le richieste di acquisto di aziende a valori inferiori a quello di mercato: dagli alberghi della Romagna alle (ex) fiorenti aziende della Brianza.
Numeri tristi che non riguardano più solo imprenditori schiacciati dai debiti e dal drastico calo del fatturato, ma anche le famiglie, quelle della porta accanto alla nostra.
“Il “cortocircuito” denunciato nel titolo del dossier è quello prodotto da un aumento consistente della povertà e della disuguaglianza e da una difficoltà di accesso al credito offerto dal sistema bancario, che finisce per favorire altri circuiti di reperimento di denaro, in particolare i Banchi dei pegni, i Compro oro e l’usura.
Il dossier sottolinea l’enorme volume di affari generato da questi circuiti e la loro capillare presenza sul territorio.”
Numeri che dovrebbero far riflettere: circa 300.000 persone ogni anno, nel nostro Paese, si rivolgono al “sistema dei pegni”, per un volume d’affari annuo pari a circa 800.000.000 di euro l’anno (ottocentomilionidieurolanno – scritto così forse rende meglio l’idea).
Ma davvero si tratta solo mancanza di soldi?
Mai come durante questa pandemia le banche centrali hanno immesso liquidità, gli andamenti delle borse sono a livelli visti raramente durante la storia moderna, i conti correnti degli italiani raccontano numeri mai visti prima.
Fineco nei giorni scorsi ha inviato una comunicazione ai propri correntisti lasciando intendere la chiusura del conto corrente qualora fosse presente una liquidità “non investita” superiore a 100.000 euro.
“Il dossier rimarca anche le contraddizioni che riguardano il sistema bancario, che concede prestiti in modo del tutto insufficiente rispetto ai bisogni di singoli, famiglie e imprese, che controlla i Banchi dei pegni e, contemporaneamente, investe in modo massiccio in due settori altamente problematici dal punto di vista morale e politico: il commercio delle armi e il mercato dei combustibili fossili.”
Sembra si tratti, almeno in apparenza, di un’impasse.
Un ruolo centrale lo giocherà lo Stato: non solo con aiuti e ristori (per “definizione” insufficienti e inadeguati) ma anche con il tanto agognato piano vaccinale.
Prima si tornerà ad una libera circolazione delle persone e delle merci, prima si capirà realmente quanto sarà cambiato il nostro mondo.
Nel frattempo però occorrerà che tutti, famiglie, privati, imprese, Stato compreso, comincino a guardare a questa pandemia come un’opportunità di cambiamento e di riforme (istituzionali, sociali ma prima di tutto mentali): un pit-stop forzato che potrà far vincere la gara a molti ma che lascerà impietosamente fermi i fenomeni dell’ “ho sempre fatto così”.