I CREDITI DETERIORATI ALLE IMPRESE TORNANO A CRESCERE! 
…NON L’AVREMMO MAI DETTO…

3,8% è la previsione ufficiale di ABI e Cerved per quanto riguarda il tasso di deterioramento dei crediti delle banche alle imprese per il 2023; nel 2021 era stato del 2%. E’ un dato che preoccupa ma che può stupire solo chi non ha a che fare con le imprese in Italia e che impone alcune doverose riflessioni. Cosa sono i crediti deteriorati (NPL)? Proviamo a spiegarlo in poche parole e proporre qualche riflessione in questo post

I crediti deteriorati (NPL): cosa sono

Wikipedia riporta questa definizione:
“I crediti deteriorati o prestiti non performanti (in inglese non performing loans, NPL) sono crediti delle banche (mutui, finanziamenti, prestiti) che i debitori non riescono più a ripagare regolarmente o del tutto. Si tratta in pratica di crediti delle banche (debiti per gli altri soggetti) per i quali la riscossione è incerta sia in termini di rispetto della scadenza sia per l’ammontare dell’esposizione di capitale. I non performing loans nel linguaggio bancario sono chiamati anche crediti deteriorati o crediti inesigibili e si distinguono in varie categorie fra le quali le più importanti sono le sofferenze.”
In pratica sono prestiti, mutui, linee di credito in conto corrente, finanziamenti, leasing ecc. che le banche hanno concesso e che, nonostante le garanzie richieste (ipoteche, fideiussioni ecc.) e le preliminari indagini sul merito creditizio, di fatto non sono più in grado di riscuotere. Perdite che le banche devono coprire integralmente facendo ricorso alle loro risorse o tramite operazioni di vendita a prezzi stracciati a società (solitamente di recupero crediti).

La portata dei crediti deteriorati sui bilanci delle banche è tale da aver indotto il governo Renzi a  spingere gli Istituti di Credito a creare il Fondo Atlante (un fondo di investimento formalmente privato) e poi anche il Fondo Atlante 2, al fine di poter rilevare i crediti in sofferenza e sostenere la ricapitalizzazione delle Banche.Fondo Atlante 1 e 2

Adeguandosi a Single Supervisory Mechanism e all’Autorità bancaria europea, Banca d’Italia nel 2008 ha classificato i crediti deteriorati in 3 microcategorie:

  1. Crediti in sofferenza (Bad loans);
  2. Inadempienze probabili (Unlikely-to-pay exposures, UTP);
  3. Esposizioni scadute e/o sconfinate (Overdrawn and/or past-due exposures).

Ovviamente quelli più “pericolosi” sono i crediti in sofferenza.
La sofferenza non è un semplice ritardo di pagamento ma uno stato vero e proprio in cui versa il debitore, anche non accertato giudizialmente ma “constatato”, che necessariamente deve essere segnalato presso le Centrali Rischi, pregiudica un ulteriore accesso al credito oltre a limitazioni su eventuali altre posizioni debitorie.
Per un imprenditore (ma più in generale per chiunque), la segnalazione a sofferenza rappresenta un grave ostacolo al normale svolgimento delle attività aziendali.

L’outlook ABI-Cerved

Dati generali Abi CervedI numeri dello studio condotto da ABI e Cerved vedono un incremento importante dei crediti deteriorati alle imprese. 
Se nel 2021 si attestavano al 2% e nel 2022 al 2,3% con un incremento tutto sommato accettabile, le previsioni per il 2023 invece sono di portata ben più rilevante: 3,8% (con una previsione, in leggera discesa, al 3,4% per il 2024). Nel 2019, pre-Covid, si attestava al 2,9%; solo nel 2017 il dato era uguale a quello stimato per il 2023.

Male ma non malissimo, verrebbe da dire: nel 2012, per intenderci, si attestavano al 7,5%.

“Ci aspettiamo però impatti moderati sulla nostra economia: il mercato negli ultimi anni si è strutturato non solo per gestire un aumento dei volumi ma è anche maturato nelle politiche di gestione da parte delle banche e degli operatori specializzati per fronte a questa emergenza. È quindi un mercato in grado di gestire i volumi di npl attesi” 
sottolinea Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved Group

Dati dimensione imprese Abi CervedPer quanto però si parli di “impatti moderati” è un dato che, a 2 anni dal primo lockdown, deve far pensare, specialmente se si considera che, leggendo lo studio, le imprese più colpite sono le micro e piccole imprese, in pratica la stragrande maggioranza del tessuto sociale italiano (oltre che imprenditoriale). Nel 2022 infatti solo le microimprese sono l’unica classe dimensionale che fa registrare un incremento nel nuovo flusso di crediti deteriorati in ogni macroarea, con il valore più alto toccato nel Sud e Isole (3% partendo dal 2,4% del 2021).

Dati macro aree Abi CervedNon sembra esserci invece alcuna distinzione dal punto di vista dei settori merceologici: i dati restano omogenei, anche se i dati più alti rimangono legati al settore dei servizi (2,5% nel 2022 contro il 2% del 2021), seguito da quello delle costruzioni. Nessun settore in ogni caso raggiunge i livelli pre-Covid.

Dati macroaree Italia Abi CervedAllo stesso modo l’aumento del tasso di deterioramento dei crediti rimane in ogni area d’Italia, con Sud ed Isole con il tasso più elevato (dal 2,4% del 2021 al 2,9% del 2021) e, viceversa, il Nord Est con il tasso più basso (dal 1,5% del 2021 all’1,7% del 2022).

Ci mancano solo le cavallette!

Incertezza economica, caro energia, aumento delle materie prime, indebolimento della domanda, aumento dei tassi da parte della BCE e l’incertezza generata dalla Guerra tra Russia e Ucraina, sembrano essere le cause principali di questo aumento. 
Ma l’outlook ABI-Cerved registra anche un sensibile calo degli investimenti: 8,8% nel 2022 a fronte del 16,5% nel 2021, oltre che dei consumi: un’impresa che non investe è un’impresa che non cresce, e che quindi non riesce a ripagare i propri prestiti. Ecco forse il fattore scatenante del citato aumento al 3,4% dei crediti deteriorati, che più dovrebbe preoccupare il mondo delle imprese.

Verrebbe da esclamare: «ci mancano solo cavallette!»

Tuttavia lo studio sottolinea un aspetto che può aiutare a leggere i dati 2021-2022 (tutto sommato ancora “pandemici” o di poco oltre) rispetto alle stime per il 2023 da un altro punto di vista:

“le misure di sostegno al credito adottate durante la pandemia, ormai scadute, sono state sostituite solo parzialmente da nuove misure a favore delle imprese. Tutte le aziende, che abbiano o meno beneficiato delle moratorie sui debiti e delle garanzie pubbliche sui nuovi prestiti3, si trovano ora a dover ripagare i debiti affrontando tassi d’interesse in costante aumento”

Qualche riflessione

Covid-19 Esattamente come si parla di Long Covid in chi ha contratto il virus, crediamo si possa fare lo stesso sul fronte imprenditoriale: la pandemia non ha finito di lasciare il segno. Se è vero che gli aiuti delle istituzioni hanno potuto in qualche modo tamponarne gli effetti peggiori, è anche vero che, alla ripresa più o meno normale della vita (e dell’economia) di tutti i giorni più di qualche strascico gli imprenditori se lo portano dietro.

Occorre quindi forse una riflessione che vada oltre gli aiuti una tantum (per quanto indispensabili) messi a disposizione a suo tempo.

Il mondo è cambiato e non è più lo stesso: è cambiato l’8 marzo 2020, il primo giorno di lockdown in Italia. Nella tragicità di una pandemia mondiale l’Italia (e i suoi imprenditori) nel complesso ha anche saputo cogliere le opportunità di crescita che si prospettavano; ma la Pandemia c’è stata, ha lasciato segni e ancora ne lascia.
Pensare di aver risolto i problemi delle imprese fornendo qualche garanzia o qualche prestito (che oltre tutto dovrà essere ripagato ora con tassi nettamente più alti rispetto al momento dell’erogazione) e  raggiungendo gli obiettivi previsti dal PNRR è, secondo noi, miope.  
E’ la stessa differenza che c’è tra il “dare a un uomo un pesce o insegnargli a pescare”, citando una vecchia storiella.

Dallo studio di ABI-Cerved emerge un trend che non solo ci dice: «Attenti! Sempre più aziende non riescono a pagare i debiti con le banche!», ma ci dice anche che la maggior parte sono micro imprese, tipicamente a conduzione familiare (che sono poi l’ossatura del sistema imprenditoriale italiano e che insieme alle piccole e medie ci hanno portato ad essere l’ottava potenza economica mondiale; la quinta negli anni d’oro) e ci dice che queste imprese potrebbero chiudere, lasciando a casa i 5-10 dipendenti che hanno a libro paga, lasciando debiti presso altre imprese (oltre che verso le banche) e verso lo Stato, con i titolari che magari dovranno anche reinventarsi nel mondo del  lavoro ecc. ecc. il debito genera altro debito e… danni su scale diverse.

Oggi più che mai, quindi, urge un ripensamento generale sui meccanismi di accesso al credito da parte degli istituti di credito e delle istituzioni, oltre che una maggiore attenzione, da parte degli imprenditori, alle nuove possibilità che le tecnologie e le istituzioni mettono a loro disposizione e all’organizzazione aziendale. 
E’ necessario, da parte delle Istituzioni, un occhio imprenditoriale al mondo imprenditoriale, nella sua complessità e nelle sue dinamiche (o almeno un orecchio sinceramente attento ai pareri degli imprenditori, non solo di Confindustria, e di chi con gli imprenditori ci lavora fianco a fianco).

Ad esempio: esattamente come per le banche, laddove i crediti deteriorati, spesso dipendono anche da meccanismi troppo farraginosi, lenti e il più delle volte inefficaci per il recupero dei crediti stessi, lo stesso accade alle aziende.
Ci capita, sempre meno di rado, di affiancare imprese nel loro percorso che hanno crediti dichiarati “inesigibili” (o quasi) di importo uguale se non superiore ai loro debiti verso banche. Si pensi, ad esempio, a chi emette molte fatture di piccolo importo, laddove decreti ingiuntivi, attività di recupero ecc. risultano antieconomiche, ma che nella globalità arrivano a cubare importi significativi (e sui quali ci si pagano tasse ed IVA).
Normare in modo efficace i mancati pagamenti dovrebbe essere una priorità e porterebbe vantaggi immediati alle aziende e di riflesso a dipendenti e allo Stato stesso.

Piccola curiosità: in sostituzione di norme efficaci ed economiche per il recupero dei crediti lo Stato chiede alle imprese flessibilità e rinunce verso i propri debitori. La stessa flessibilità che lo Stato non adotta quando il creditore è lui e il debitore l’impresa. Alcune centrali rischi di bravissimi imprenditori che conosciamo sono gravate da ipoteche scellerate (e spesso non adeguatamente giustificate) che ne pregiudicano l’accesso al credito, agli investimenti ecc.

Strettamente collegato a questo malsano fenomeno italiano, vi è poi quello legato ai tempi dei procedimenti della giustizia civile: è impensabile che un’impresa debba aspettare anni per ottenere un giudizio su un brevetto, su un risarcimento o anche solo su un banale contenzioso con il capannone accanto. Oltre a dissuadere eventuali investitori, anche questo aspetto impatta sulla capacità risarcitoria di un debito, sulla volontà ad investire anziché a contenere, sulla crescita di un’impresa (ma d’altronde questo aspetto può suonare stonato solo a chi non conosce il mondo reale degli imprenditori).

Ultimo ma non ultimo: occorre ripensare i parametri per l’accesso al credito bancario.
I vari Basilea appaiono oggi palesemente inefficaci ad affrontare un periodo come questo, le Centrali Rischi spesso sono specchi non reali del merito creditizio, quasi mai poi si valuta la bontà di un progetto imprenditoriale o la reale capacità di un imprenditore.
Forse, consentiteci la chiosa polemica, non tutti quei crediti deteriorati sono o saranno responsabilità degli imprenditori.