Aumentano i costi ma aumenta anche il PIL: le aziende italiane saranno motori o assorbenti del rilancio?

Si chiamano commodities in gergo economico ma non sono altro che quelle materie prime di uso comune destinate all’uso industriale.

Wikipedia riporta questo:

“Commodity è un termine inglese che indica un bene per cui c’è domanda ma che è offerto senza differenze qualitative sul mercato ed è fungibile, cioè il prodotto è lo stesso indipendentemente da chi lo produce, come per esempio il petrolio o i metalli.”

E ancora

“L’elevata standardizzazione che caratterizza una commodity ne consente l’agevole negoziazione sui mercati internazionali. Le commodity possono costituire un’attività sottostante per vari tipi di strumenti derivati, in particolare per i futures.”

Cosa vuol dire? Vuol dire che analizzando le transazioni di queste materie prime a livello internazionale è possibile prevedere con una buona approssimazione l’andamento dei mercati che ne fanno un uso prioritario (e di conseguenza il loro indotto ecc. ecc.) nei prossimi mesi e da lì ricalcolare di conseguenza gli effetti su chi le utilizza per produrre altro, che servirà a produrre altro ancora e poi altro ancora ecc.

Vi sveleremo un segreto (di Pulcinella): dall’inizio del 2021 è aumentato tutto ma il PIL…

Confindustria commoditiesGià il 15 aprile 2021, il Centro Studi Confindustria ci faceva sapere che le principali commodities erano in forte rialzo (si veda qui).
A determinare questo rialzo ha contribuito in parte il prezzo del petrolio, dal quale molte di queste produzioni dipendono (e che, di fatto, agisce ormai spesso da vero e proprio asset finanziario) e molto invece ovviamente la pandemia e lo stop produttivo a lei riconducibile.

In questi giorni la cronaca ci ha raccontato un aumento dei prezzi dei carburanti al massimo dall’ottobre 2014.
E’ un aumento particolarmente sentito e fastidioso perché impatta in maniera non uniforme sulla gente: sicuramente pesa di più sui redditi bassi, sui “padroncini”, sugli agenti di commercio e sulle micro imprese ad esempio, ma anche sulle piccole e medie imprese. Va a impattare sui consumi, riducendo la capacità di spesa dei ceti meno abbienti.
Il prezzo del petrolio, poi, non determina solo i prezzi dei carburanti ma anche la produzione industriale ecc.

Non solo chi fa impresa ma chiunque faccia la spesa al supermercato non può che aver notato un sensibile aumento dei costi.

La “crisi dei microchip”, che sta piegando il settore dell’auto portando un calo medio in Europa del 30% (rispetto al 2020, che pure non era già stato un annus mirabilis) derivante dalla crisi di offerta di semiconduttori (dovuta a sua volta dallo stop produttivo del 2020 dovuta al Covid), completa solo parzialmente un quadro (almeno in parte) dalle tinte fosche.

Da più parti, viceversa, ci siamo sentiti raccontare che questa seconda fase della Pandemia, complici anche gli aiuti mirati da parte di tutte le Istituzioni, è stata segnata da una ripresa economica migliore del previsto.
Secondo un recente studio promosso sempre da Confindustria, viene ventilato un incremento del PIL per il 2021 di circa il 6% rispetto al periodo precedente, e prevista un’ulteriore crescita di circa il 4% per il 2022.

Oltre le considerazioni più immediate

Una lettura non superficiale di questi due dati, aumento dei costi legati alle commodities e aumento del PIL, dovrebbe però portare a porsi domande che vadano un po’ oltre le facili letture immediate, noi ne poniamo 3:

  1. riusciranno le imprese a tollerare l’aumento dei costi o l’aumento del PIL avverrà a scapito dei margini?
  2. Ad un aumento dei costi corrisponderà un aumento dei listini o il tutto verrà assorbito da una minore liquidità/capacità di spesa da parte delle nostre imprese?
  3. Di quanto sarà la derivata ulteriore spinta inflazionistica e come impatterà sui consumi?

Banca D’Italia stima per il biennio 2021-22 un incremento di fallimenti (rispetto al 2019, sia chiaro: pre pandemia) pari a circa 6.500 imprese e secondo i dati ripresi da Assonime su elaborazioni Ceved e Banca D’Italia circa 181.000 imprese prima classificabili come “vulnerabili” ora lo sono come “rischiose”.

Se da una parte i relativi al PIL fanno ben sperare, dall’altra i rischi di un minore cash-flow da parte delle imprese e la situazione patrimoniale e finanziaria delle PMI italiane, pone come possibile scenario che questo auspicato aumento del PIL rimanga poi, di fatto, solo appannaggio di un numero sempre minore di imprese.
D’altro canto la fragilità patrimoniale e finanziaria della micro-piccola-media impresa (che pure è il tessuto più importante del sistema Italia) è un fattore che da sempre pesa sulla nostra economia.

Le teorie economiche non sono scienze esatte

Si sa che in economia vale sempre tutto e il contrario di tutto: non è certo come l’aritmetica.
Troppi fattori influenzano gli andamenti, troppi rischi speculativi, troppe variabili. E’ quindi verosimile che anche queste previsioni rimangano mera teoria o possano cambiare ancora: chi di noi, ad esempio, avrebbe mai previsto una pandemia due anni fa?

Tuttavia un piccolo punto fermo ci sentiamo di metterlo anche in una situazione come questa e lo facciamo, come sempre, guardando in maniera molto semplice alle imprese, il motore di ogni economia.

Un ruolo fondamentale verrà giocato, ancora una volta, dalla capacità e dall’intelligenza di spesa delle nostre imprese.

Imprese ben organizzate, con una buona disponibilità di cassa, potranno guardare al futuro con più serenità, consce di poter assorbire eventuali scossoni e andare avanti. Qualora non arrivassero ulteriori scossoni ancora meglio! Potranno crescere con valori importanti aggredendo fette di mercato e addirittura assorbire concorrenti in difficoltà.

Viceversa chi riterrà ancora una volta il fattore finanziario secondario. Che tutto possa essere affrontato durante il momento di necessità, come si è sempre fatto nei decenni scorsi, è destinato a subire rischi maggiori di quanto possa probabilmente immaginare e, non vogliamo “tirarla a nessuno”, probabilmente a chiudere.

Resta che l’unica certezza sulla quale conviene puntare inequivocabilmente e senza timori di essere smentiti è quello della liquidità e, ringraziando il Cielo, il mercato oggi offre molte possibilità: sarebbe miope non prestarci la dovuta attenzione.

Luca Carboni nel 1987 cantava:

Luca Carboni“Oh, no, i soldi lo so

che non danno la felicità;

Immagina però

come può stare chi non li ha,

Oh, no, da soli, lo so

da soli no, no, no”

(“Caro Gesù” Testo e musica di Luca Carboni – album “Luca Carboni”)

Ci sembra possa valere anche per le nostre PMI.