Quest’anno si è tenuto on line, il 21 ottobre scorso lo Studio Pagamenti dell’Osservatorio annuale di CRIBIS che illustra i trend e le performance di pagamento delle aziende italiane in un confronto con le altre realtà europee ed internazionali.

La partecipazione è stata elevata con la presenza di oltre 1.500 CEO, CFO e Credit Manager che hanno seguito l’evento in streaming per arrivare ad una sentenza: Pagamenti alle imprese peggiorati del 40% .

I conti con la pandemia

Particolare attenzione quest’anno è stata data relativamente all’impatto della Pandemia e del lockdown sulle imprese italiane.

Ne parliamo solo oggi solleticati da un articolo del “Corriere della Sera – Economia” uscito il 9 febbraio scorso e che ne evidenzia i tratti salienti (lo potete leggere qui).

“Nel 2020 l’emergenza Covid-19 ha fatto impennare i ritardi gravi (oltre 30 giorni) nei pagamenti da parte delle imprese soprattutto in Valle d’Aosta (+41,5%), Friuli – Venezia Giulia (+40,3%), Veneto (+35,8%), Piemonte (+30,9%) e Lombardia (+30,3%).

È quanto emerge dallo Studio Pagamenti, aggiornato al 31 dicembre 2020, realizzato da CRIBIS, società del gruppo CRIF specializzata nella business information.

A livello provinciale le ripercussioni più pesanti sui tempi di pagamento delle aziende si sono registrati, nell’ordine, a Lodi (+64,3%), Belluno (+54,2%), Asti (+53,8%) e Pordenone (+50%).”

I dati rappresentano la realtà dei fatti

Sono dati che forse rientrano nelle (tristi) aspettative di chiunque abbia a che fare con le aziende e che non stupiscono eccessivamente: era presumibile che uno degli effetti più immediati del Covid19 fosse un (ulteriore?) ritardo nei pagamenti da parte di molti fornitori.

Sono comunque dati gravi, a prescindere dalle aspettative personali, specie se si considerano gli effetti “geoeconomici”: si tratta di regioni ad elevata densità imprenditoriale e produzione di PIL.

Incominciamo a porci qualche domanda

Ma si tratta solo una questione di numeri/statistica? Più imprese = più ritardi? Oppure c’è anche altro?

“Se ci concentriamo solo sull’Italia e consideriamo l’andamento dei pagamenti in ritardo oltre i 30 giorni, possiamo notare come negli ultimi anni avessimo registrato una stabilizzazione nel ritardo dei pagamenti attorno al 10%. Dal 3Q 2020 vi è stata una crescita del 21% nei ritardi gravi rispetto al 4Q 2019.”

Osserva Marco Preti, CEO di Cribis (potete trovare le sue osservazioni e lo studio qui).

Lo studio si limita ad elencare i dati e non ne menziona le cause (come debitamente è nella natura di uno studio).

Il dato di partenza (10%) però era già sensibilmente preoccupante e apre la porta ad alcune considerazioni.

Quasi scontato ricordare il dialogo tra uno strepitoso Alberto Sordi e un espressivo Riccardo Billi nei panni dello sfortunato artigiano Aronne Piperno ne “Il Marchese del Grillo”:

Marchese del Grillo: E come? Voi sape’ la procedura?

Aronne Piperno: Sì, sì, sì,…

Marchese del Grillo: Io i sordi nun li caccio e tu nun li becchi.”

Cosa fare quindi se un debitore non vuole pagare?

Il gruppo Irec, azienda con la quale collaboriamo, proponendolo come partner ai clienti in cui rileviamo un’eccessiva mole di crediti non recuperati, ha prodotto uno spot molto carino rievocando proprio la gag de “il Marchese del Grillo” che abbiamo ricordato poco sopra che vi proponiamo qui.

Quest’anno si è tenuto on line, il 21 ottobre scorso lo Studio Pagamenti dell’Osservatorio annuale di CRIBIS che illustra i trend e le performance di pagamento delle aziende italiane in un confronto con le altre realtà europee ed internazionali.

La partecipazione è stata elevata con la presenza di oltre 1.500 CEO, CFO e Credit Manager che hanno seguito l’evento in streaming per arrivare ad una sentenza: Pagamenti alle imprese peggiorati del 40% .

I conti con la pandemia

Particolare attenzione quest’anno è stata data relativamente all’impatto della Pandemia e del lockdown sulle imprese italiane.

Ne parliamo solo oggi solleticati da un articolo del “Corriere della Sera – Economia” uscito il 9 febbraio scorso e che ne evidenzia i tratti salienti (lo potete leggere qui).

“Nel 2020 l’emergenza Covid-19 ha fatto impennare i ritardi gravi (oltre 30 giorni) nei pagamenti da parte delle imprese soprattutto in Valle d’Aosta (+41,5%), Friuli – Venezia Giulia (+40,3%), Veneto (+35,8%), Piemonte (+30,9%) e Lombardia (+30,3%).

È quanto emerge dallo Studio Pagamenti, aggiornato al 31 dicembre 2020, realizzato da CRIBIS, società del gruppo CRIF specializzata nella business information.

A livello provinciale le ripercussioni più pesanti sui tempi di pagamento delle aziende si sono registrati, nell’ordine, a Lodi (+64,3%), Belluno (+54,2%), Asti (+53,8%) e Pordenone (+50%).”

I dati rappresentano la realtà dei fatti

Sono dati che forse rientrano nelle (tristi) aspettative di chiunque abbia a che fare con le aziende e che non stupiscono eccessivamente: era presumibile che uno degli effetti più immediati del Covid19 fosse un (ulteriore?) ritardo nei pagamenti da parte di molti fornitori.

Sono comunque dati gravi, a prescindere dalle aspettative personali, specie se si considerano gli effetti “geoeconomici”: si tratta di regioni ad elevata densità imprenditoriale e produzione di PIL.

Incominciamo a porci qualche domanda

Ma si tratta solo una questione di numeri/statistica? Più imprese = più ritardi? Oppure c’è anche altro?

“Se ci concentriamo solo sull’Italia e consideriamo l’andamento dei pagamenti in ritardo oltre i 30 giorni, possiamo notare come negli ultimi anni avessimo registrato una stabilizzazione nel ritardo dei pagamenti attorno al 10%. Dal 3Q 2020 vi è stata una crescita del 21% nei ritardi gravi rispetto al 4Q 2019.”

Osserva Marco Preti, CEO di Cribis (potete trovare le sue osservazioni e lo studio qui).

Lo studio si limita ad elencare i dati e non ne menziona le cause (come debitamente è nella natura di uno studio).

Il dato di partenza (10%) però era già sensibilmente preoccupante e apre la porta ad alcune considerazioni.

Quasi scontato ricordare il dialogo tra uno strepitoso Alberto Sordi e un espressivo Riccardo Billi nei panni dello sfortunato artigiano Aronne Piperno ne “Il Marchese del Grillo”:

Marchese del Grillo: E come? Voi sape’ la procedura?

Aronne Piperno: Sì, sì, sì,…

Marchese del Grillo: Io i sordi nun li caccio e tu nun li becchi.”

Cosa fare quindi se un debitore non vuole pagare?

Il gruppo Irec, azienda con la quale collaboriamo, proponendolo come partner ai clienti in cui rileviamo un’eccessiva mole di crediti non recuperati, ha prodotto uno spot molto carino rievocando proprio la gag de “il Marchese del Grillo” che abbiamo ricordato poco sopra che vi proponiamo qui.

Rimane che anche l’opera di aziende preparate e professionali come la loro, spesso si scontrino con normative inadeguate.

Le misure adottate fino ad adesso sono state adeguate?

Il blocco dei procedimenti civili voluto dal Governo Conte II tra le misure di risposta alla pandemia, se da una parte ha avuto il merito di impedire l’aggravarsi di situazioni “in bilico”, che senza questo stop non avrebbero potuto trovare valide risposte o vie d’uscita ad un decreto ingiuntivo (e agli atti conseguenti), dall’altra ha sicuramente innescato un’attività speculativa sul fronte dei pagamenti, aumentandone significativamente il ritardo.

Crediti frazionati e di importo non eccessivo sono spesso riscossi con ritardi inaccettabili (o addirittura non recuperati) dalle piccole e medie imprese italiane.

Aziende che hanno un “potere contrattuale” importante (dimensioni, unici clienti, politiche di selezione di fornitori aggressive, fama di cattivi pagatori o azzeccagarbugli in grado di allungare le cause per anni…) verso creditori più piccoli o che versano in condizioni di necessità, sovente truccano le regole del gioco, forti di normative troppo accondiscendenti.

E da qui nasce quella rassegnazione dovuta all’impossibilità di ricorrere con efficacia all’Autorità giudiziaria, oltre che frustrazione, porta ricadute impensabili con costi elevati, non solo economici ma anche di immagine.

pensate ad un’azienda che subisce sistematicamente ritardi di pagamenti e non può, a sua volta, garantirli ai suoi creditori, dipendenti o collaboratori: attrarrà forse professionalità e investitori? Senza considerare anche il punto di vista sociale stipendi e premi non pagati e, più su larga scala, famiglie in difficoltà.

Un problema delle aziende italiane che nasce prima della Pandemia

Si tratta di una piaga che affligge il mondo delle aziende in Italia, che ha effetti devastanti e non è certo figlia di questa Pandemia (ma che ne è stata ulteriormente infiammata): insieme all’eccessiva durata dei processi civili, è tra altre ragioni, anche una di quelle che rallentano sensibilmente gli investimenti internazionali nelle nostre imprese (alle quali comunque vengono riconosciute eccellenze indiscusse).

Oggi un imprenditore sa che ad ogni commessa rischia di non essere pagato, oppure di essere pagato con ritardi importanti (il che, spesso, equivale all’annullamento dei propri margini) e con l’impossibilità, talvolta, di una programmazione finanziaria realistica.

Con quale coraggio, ad esempio, ipotizzerà investimenti?

“Credo che mai come nei primi mesi di quest’anno sia stato chiaro a tutti in Italia quanto la liquidità delle imprese fosse un tema cruciale che abbiamo sempre evidenziato come un indicatore del loro stato di salute.

Nel momento in cui la liquidità viene a mancare, i pagamenti rallentano e se rallentano per un soggetto, tutta la catena a cascata avrà delle ripercussioni.”

Osserva ancora giustamente Preti.

Non si tratta di battiti di farfalla in un luogo che scatenano terremoti altrove, non certamente il caso di scomodare Lorenz e il suo “effetto farfalla” del 1963 (lo trovate qui), ma di sottolineare con la giusta serietà quanto, a volte, siano i problemi più semplici (e quindi rimandati e trascurati) ad avere le ripercussioni più gravi.

Il problema della liquidità

La maggior parte delle volte in cui si affronta il problema della liquidità lo si fa collocandolo all’interno del mondo bancario, confondendo spesso il problema con la sua soluzione.

Nel nostro lavoro quotidiano affrontiamo situazioni in cui la necessità di una linea di credito bancaria è spesso l’unica soluzione al problema degli insoluti da parte dei nostri clienti.

Ancor più triste è notare come spesso l’imprenditore constati amaramente quanto sia per lui più conveniente affrontare le difficoltà e i costi (e l’occupazione di posizioni in Centrale Rischi ad esempio ) legati al credito bancario, anziché quelli legati ad un recupero crediti che, spesso, si rivela oneroso e/o inefficace.

In aumento le richieste di credito ( era quasi scontato ? )

La Pandemia, guarda caso, ha fatto crescere le richieste di credito bancarie (ne parliamo qui), il crescente interesse verso la Finanza Agevolata nelle sue varie declinazioni (con connotati spesso di natura assistenzialista, ne abbiamo parlato qui), e la richiesta di interventi statali sotto forma di ristori di varia natura: tutti dati che non fanno altro che rispecchiare la tendenza che emerge dallo studio di Cribis.

Giovanni G., un amico direttore commerciale di una media impresa, ci raccontava già qualche anno fa di quanto fosse cambiato il suo mestiere:

«Vedete io sono un commerciale e, per anni, poche cose come la chiusura di un bel contratto mi hanno dato lo stesso godimento. Oggi, invece, quando io o uno dei miei commerciali chiudiamo un contratto con un nuovo cliente, sono quasi preoccupato: mi pagherà? Quando? Avrò fatto bene a riconoscergli tutta quella scontistica?».

Sarebbe interessante conoscere l’opinione di Giovanni in questo periodo, purtroppo il Covid se l’è portato via nel marzo scorso, ma siamo certi che molti dei nostri lettori si riconoscono in queste preoccupazioni.

Venendo alla nostra situazione in Europa, poi, lo Studio ci colloca nella parte bassa della classifica testimoniando quanto gli effetti di una crisi senza precedenti unitamente ad una lacuna legislativa, rendano ancor più difficile immaginare una ripresa nel breve termine.

“C’è comunque un segnale positivo che noi vediamo nelle imprese, soprattutto in quelle più virtuose: un forte investimento nel proprio ecosistema di relazioni con clienti, fornitori, distributori e partner fondamentale per la vita e la sopravvivenza dell’azienda.

In particolare, la maggiore “connessione” con i clienti è stata e sarà ancora di più nei prossimi mesi un asset che va curato e monitorato, molte aziende hanno infatti aiutato i clienti allungando i termini durante il lockdown.

Questo “patto” con i propri clienti e fornitori è probabilmente la chiave per superare la crisi, senza ovviamente abbassare la guardia su scaduto e insoluti.”

Osserva infine Preti, a testimonianza di quanto, al netto di alcuni speculatori senza scrupoli, spesso il Paese reale sia più avanti di quanto non sia il Legislatore.

La “rete” di ogni imprenditore, fatta di conoscenze concrete e reali (sovente dell’imprenditore-cliente prima ancora che della sua impresa) e di esperienze comuni, in molti casi va oltre la norma, colmandola nei suoi vuoti e facendo della solidarietà “spiccia” il motore di ciò che spesso, per definizione, viene considerata fredda e cinica: l’economia.

Ben vengano poi i sistemi di informazione creditizia che le aziende adottano sempre di più (Cribis è forse il più importante ma non è più il solo), anche se, anch’essi, risentono delle criticità di riscossione a cui facciamo accenno in questo articolo:

come sarebbe lo stato dei pagamenti di alcune aziende se solo potessero recuperare a loro volta i loro crediti rapidamente?

Il premio Nobel Milton Friedman affermava:

“esiste una e una sola responsabilità sociale delle imprese: utilizzare le proprie risorse e impegnarsi in attività finalizzate ad aumentare i propri profitti rispettando le regole del gioco, vale a dire impegnarsi in una concorrenza aperta e libera senza inganni o frode”.

Non è forse una frode ritardare (illegittimamente) o annullare i pagamenti?

I moderni autoregolamenti di CSR (Corporate Social Responsibility) non dovrebbero forse includere al loro interno anche questo aspetto?

Quale sarebbe il sistema imprenditoriale ed economico italiano se la dilatazione dei pagamenti fosse contenuta e, viceversa, gli insolventi avessero la certezza di una pena (con un effetto effettivamente deterrente)? Quali impatti sociali e sui consumi avrebbe?

I dati allarmanti che emergono dallo studio di Cribis rilanciano questi ed altri interrogativi.

Forse, all’interno dell’agenda e delle manovre anti-Covid del prossimo governo, un piccolo riguardo anche per questo annoso malcostume italiano dovrebbe esserci.