In questi giorni si sono dette tante parole ma, l’ attenzione è caduta sul nuovo condono inserito nei primi provvedimenti del neonato governo Draghi.

Di cosa si tratta?

Verranno cancellati i debiti verso lo Stato per cartelle emesse nel periodo 2000-2010, per importo inferiore a 5.000 euro e solo per chi ha un reddito inferiore a 30.000 euro.

Sui social si è scatenata l’indignazione generale:

“stupido chi ha sempre pagato”; “noi dipendenti non possiamo non pagare e invece ad altri viene concesso di farlo”; “tanto vale aspettare qualche anno a pagare, tanto poi un condono ogni tanto salta fuori” ecc.

Il condono: la resa dello stato

Un condono è sempre, in qualche modo, la resa dello Stato davanti alle sue inefficienze; nulla da eccepire e non condividere intimamente questo concetto è inaccettabile.

Ma purtroppo le inefficienze capitano, nello Stato come anche nelle imprese private: chiudere gli occhi non serve a nulla.

A volte, poi, non si tratta nemmeno di inefficienze ma di semplici casualità, o imprevisti: molte di quelle cartelle sono in capo a soggetti falliti, deceduti, senza alcuna possibilità di recupero.

Stando alle cifre ufficiali il 95,8% delle cifre condonate sarebbe riconducibile a casi come questi.

La domanda semmai potrebbe essere:

“perché mantenere le cartelle superiori a 5.000 euro per questi soggetti?”

Ma andiamo oltre: quanta gente credete che abbia un reddito sotto i 30.000 euro e possa permettersi di pagare un debito così datato e oggi gravato da interessi importanti?

Andiamo ancora oltre.

La prescrizione, per quanto riguarda le tasse è ormai conclamata in 5 anni, si veda ad esempio la Corte di Cassazione nell’Ordinanza n. 23162 del 22 ottobre 2020.

Nel caso del condono in questione stiamo parlando di cartelle di 11-21 anni fa.

La domanda nasce spontanea: chi non ha pagato a suo tempo queste cartelle con la volontà di evadere e frodare i propri concittadini, non farà forse leva su ogni appiglio legislativo possibile per non pagare?

L’evasore “di professione” ha forse bisogno di un condono per cartelle di 11-21 anni fa???

Cosa fare quindi? Concedere allo Stato di non essere vincolato alla prescrizione?

Inaccettabile secondo noi.

Verrebbe meno il principio di uguaglianza davanti alla Legge: la prescrizione è civiltà, non un trucco per non pagare!

Se mi scontro contro lo stato, che sia perché sono accusato di qualcosa o per una tassa non pagata, voglio avere la certezza di contare su un meccanismo che riconosca onori e oneri a me come alla mia controparte.

Se l’accusa è ingiusta devo avere in cuor mio la certezza di poter essere assolto, anche se l’accusa proviene dallo Stato (perché anche lo Stato può sbagliare e sbaglia).

Non lo dice chi scrive: lo dice la Costituzione, “la più bella del mondo” come è stata definita.

Esattamente come io sono obbligato a pagare alle scadenze indicate, a compilare l’F24 in modo corretto, pena interessi di mora ed eventuali sanzioni; e se sbaglio o mi dimentico? “sono cazzi miei”!

Tu Stato hai l’obbligo di recuperare i tuoi crediti entro i 5 anni stabiliti dalla legge, diversamente… “saranno cazzi tuoi”.

Che poi… Stato. Come se fossero persone diverse dal nostro vicino che lavora all’INPS, o dalla cugina che lavora in Comune ecc. L’inefficienza dello Stato è spesso inefficienza di chi vi lavora direttamente, di chi non va oltre la procedura e vi si barrica dietro per fare meno fatica, di chi non si prende responsabilità, del dipendente a cui alle 18:00 precise precise cade la penna o si spegne il computer, qualsiasi cosa stia facendo.

Nessuno nega che in Italia ci sia una dose importante di burocrazia e di bizantinismi procedurali che rallenti ogni cosa, riscossione dei tributi compresa, ma nemmeno pensare che sia sempre colpa degli altri o che lo Stato sia un’entità mitologica composta da spiriti astratti!

In ultimo, e ben più pericoloso dal punto di vista sociale, il tentativo di sfruttare questo condono per far passare la dicotomia: “impiegato – onesto vs imprenditore – ladro”.

E’ evidente che le generalizzazioni lasciano il tempo che trovano, ma in questo caso è ancora più fuorviante.

Il concetto che il lavoratore dipendente sia tassato alla fonte e quindi non gli sia concesso di evadere, mentre al popolo delle partite iva (non necessariamente gli imprenditori peraltro) sia concesso di tutto, è qualcosa di abominevole.

Sembra quasi voler passare l’idea che l’evasione fiscale sia un benefit a cui ambire.

Non lo è! E’ sbagliato ed è inaccettabile sotto ogni punto di vista!

Senza falsa retorica però: quanti lavoratori dipendenti lucrano su malattia, permessi retribuiti, 104, donazioni del sangue… (e chi più ne ha più ne metta)?

Non è forse anche questo evadere, o meglio: rubare? Rubare ad un’azienda privata è meno grave che rubare allo Stato? Quanti lavoratori dipendenti, davanti alla possibilità di scaricare qualcosa che non sarebbe scaricabile, fanno pressioni al commercialista o al CAF? Quanti “magheggi” con l’ISEE e le mense scolastiche?

Potremmo continuare ore con esempi del genere. “L’occasione fa l’uomo ladro” è un proverbio che non cessa mai di essere attuale.

Diciamoci la verità: molti dipendenti (non tutti, beninteso) non evadono solo perché non possono. Viceversa molti imprenditori evadono (o più semplicemente lasciano indietro tasse e tributi, che pagano poi con interessi e sanzioni molto costosi) perché sennò non pagherebbero gli stipendi.

Molti altri invece evadono coscientemente, bastardi, falsando il mercato: questi vanno perseguiti senza pietà!

Ogni giorno lavoriamo accanto agli imprenditori e non smetteremo mai di essere dalla loro parte.

Conosciamo imprenditori che guadagnano molto meno di buona parte dei loro dipendenti; uomini e donne che si sono ammalati per lo stress di garantire uno stipendio puntuale tutti i mesi ai loro dipendenti; gente che si scontra non solo contro una burocrazia e una pressione fiscale inaccettabile, ma anche solo contro la frustrazione di non potersi prendere un giorno di malattia e riprendersi da un’influenza come tutti gli altri, o di un pagamento non riuscito perché non ha ricevuto 10 pagamenti a sua volta, o di un funzionario di banca che non ha la più pallida idea di cosa voglia dire fare impresa e rischiare di proprio, e magari si arrocca dietro ad una posizione centrale rischi che potrebbe anche andare bene, con un pizzico di ragionamento e discrezione in più…

Il punto probabilmente è un altro e lo sosteniamo da sempre: prima ancora dell’abbattimento della pressione fiscale (riforma enorme, lunga, inattuabile nel breve), urge ora, subito, adesso, una riforma che permetta di perseguire “zelantemente e violentemente” chi non paga; sia esso cittadino verso lo Stato sia esso cliente verso fornitore… sia esso Stato verso i propri fornitori.

L’evasione va intercettata all’inizio, al primo ritardo, con un dialogo che consenta alle persone dello Stato (professionisti con un nome, un cognome e l’intelligenza emotiva e razionale sufficiente per fare considerazioni adeguate) di valutare pienamente le ragioni di questo ritardo, strumenti che permettano a tutti di pagare in tempi ragionevoli e pene che chiariscano alle parti in causa che eventuali furbate costerebbero molto caro.

Le stesse pene che devono essere concesse ad un fornitore che non può e non deve arrendersi davanti a fatture spesso aspettate mesi e poi non pagate per cattiva fede: quanti “condoni” fa un imprenditore ogni anno ai suoi clienti?

Fare impresa non è facile, specialmente in Italia.

Tra le “chiacchiere da social media” che abbiamo letto in questi giorni c’è anche:

“faccia impresa solo chi ha i soldi veri”

A chi la pensa così rispondiamo che la caratteristica di un imprenditore deve essere la sua capacità di organizzare, di innovare, di rischiare, saper sopportare lo stress di quei rischi e di farli… i soldi, non necessariamente di averne in partenza.

Non è da tutti fare l’imprenditore, ma non per questioni di patrimonio.

In un paese dove oltre il 90% del tessuto imprenditoriale è fatto di micro, piccole e medie imprese, un pensiero come quello non può che essere fuori luogo.

In ogni caso i soldi finiscono, anche i patrimoni più importanti: la storia ne da ampia dimostrazione; il talento invece rimane.

Occorre orientarsi verso un’altra prospettiva che stabilisca regole del gioco chiare e praticabili, dove sia possibile perdere ma anche vincere e dove chi non le rispetta venga squalificato e perseguito.

Oltre oceano, banalmente, un imprenditore che fallisce è solo un imprenditore che potrebbe riuscirci con la sua prossima impresa; da noi è marchiato, spesso a vita.

In America, però, chi non paga va in galera.

In questo senso lo Stato deve essere garante delle regole che esso stesso deve rispettare nel momento in cui diventa a sua volta giocatore (si pensi ai tempi di pagamento verso le aziende da parte della pubblica amministrazione).

Venendo ad oggi.

Quello che ci sta capitando adesso è qualcosa di mai visto prima e che quindi richiede misure eccezionali, che risulterebbero inaccettabili e intollerabili in momenti normali.

Facciamone un discorso di numeri: a molte aziende di nostra conoscenza la pandemia ha segato le gambe.

Aziende che camminavano, con le loro rateazioni e le loro fatiche, ma onoravano onestamente i loro debiti e spesso avanzavano anche qualcosa ma che invece oggi, per poter ritornare alla situazione pre-covid, avranno bisogno di anni.

A queste aziende chiedere tutto il debito equivale a dire all’imprenditore: «chiudi, non ce la farai mai: tanto vale fallire adesso», verosimilmente lo Stato non incasserebbe nulla di quanto dovuto da quello stesso imprenditore che potrebbe riaprire 6 mesi dopo, sfruttando magari anche gli incentivi messi a disposizione per chi apre nuove imprese.

Chiedergli invece una cifra più bassa, congrua, magari a fronte della presentazione di un business plan che tenga conto di questa agevolazione, vuol dire, per lo Stato incassare qualcosa da tanti, permettere a tanti di rilanciarsi e non erogare fondi a chi invece non avrebbe speranza; per l’imprenditore invece vuol dire salvare posti di lavoro, non sprecare anni di sacrifici, per una volta sentirsi aiutato dallo Stato e magari anche trovare motivazioni dopo più di un anno di silenzi e abbandoni alla propria sorte. Lo può fare solo lo Stato, non certo un altro privato, suo fornitore.

Noi pensiamo lapalissianamente che sia meglio 1 euro da 1 milione di persone, che 1000 euro da 100 persone: è solo questione di aridi numeri.

Non vale e non deve valere sempre, sia ben chiaro e lo ripeteremo fino allo sfinimento: stiamo parlando di ora, del Covid e di aiuti concreti durante e dopo una crisi che non ha possibilità di essere comparata con nessun altro periodo della storia moderna.

Noi non siamo certo fan di paci fiscali, finanza creativa e cose simili: non si tratta di quello.

Lo Stato non deve e non può far passare lo scenario di condoni “ciclici”: non pagare le tasse confidando in un “reset” ogni tanto, falsa il mercato, fa concorrenza sleale a chi invece fa impresa rispettando le regole.

Proprio per questo, però quello stesso Stato deve mettersi nelle condizioni di essere inattaccabile, di non fornire alibi che pongano le basi per un condono considerato giusto da una buona parte dei suoi cittadini. Oggi purtroppo però non è così.

Quello che ha previsto il governo Draghi, ribadiamo, anche a costo di risultare impopolari, non è un condono: elimina solo crediti inesigibili dal bilancio dello Stato.

“Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle.” (Cesare Beccaria)